Sacrifici umani e ritualità nelle antiche Americhe

Le pratiche sacrificali fanno parte della storia culturale dell’uomo da tempo immemorabile. Ciascuna cultura ha elaborato un proprio sistema di offerte, dalle più innocue a quelle più cruente, come l’autosacrificio o l’offerta di vite umane. Le cerimonie sacrificali vengono normalmente celebrate in occasioni di eventi sociali come le guerre, i riti di passaggio dall’età infantile a quella adulta, oppure in occasione di celebrazione a una divinità (sacrifici agli dei, a parti sacre del paesaggio, agli antenati divinizzati, o a capi santificati al momento della morte), o infine per propiziare un evento, come per esempio un buon raccolto.

Presso quasi tutti i popoli dell’America precolombiana esistevano svariate pratiche cerimoniali, molte delle quali prevedevano l’offerte di vita umana. Il sacrificio umano era spesso preceduto da lunghe cerimonie o combattimenti rituali che avevano come protagonisti i membri migliori della società. Come rituale di donazione estrema che una società poteva tributare, il sacrificio del “fiore prezioso” della vita era appannaggio della classe privilegiata.

Gli Inca: le capacochas

Molti secoli dopo i Moche e i Nazca troviamo i sacrifici umani anche presso gli Inca. Anche presso questa cultura, i sacrifici avvenivano in svariate occasioni sia religiose che di natura sociale. Il primo archeologo a studiare tali pratiche presso questa civiltà fu Max Uhle già all’inizio del secolo scorso. L’archeologo ritrovò un gran numero di donne sacrificate tramite strangolamento e sepolte vicino al tempio del sole, a Pachacamac, nella costa del Perù. Evidentemente le fanciulle erano state sacrificate al dio del sole Inti.

Occasionalmente, in seguito alla morte di un sovrano, anche presso gli Inca come presso i Chimu e i Moche prima, il capo veniva “accompagnato” nell’aldilà dai servi e dalle mogli. Recentemente la nostra conoscenza sulle pratiche sacrificale degli Inca è nettamente cresciuta grazie al ritrovamento di vittime sacrificali perfettamente conservate in diverse punti della Cordigliera andina. Qui, la sepoltura dei corpi nel permafrost (suolo permanentemente ghiacciato) ha permesso di effettuare autopsie e di studiare, oltre ai corpi, persino i vestiti, la pelle e i capelli di queste vittime.

La scoperta più recente è stata quella effettuata nel 1999 sulla cima al vulcano Llullaillaco, a più di 6mila metri d’altitudine nell’area nord ovest dell’Argentina. Il gelo ha qui conservato i corpi intatti di tre bambini sacrificati alle divinità delle montagne: i bambini dovevano aver tra gli 8 e i 15 anni. Vestiti di lana finissima e con in testa un ampio copricapo di piume, i bambini vennero probabilmente narcotizzati con un distillato ricavato dalle foglie di coca, servito sia per farli affrontare la faticosa salita verso la cima di questo vulcano (combattendo il soroche, mal di montagna) sia per alleviare le loro paure. Ma la masticazione della coca, oltre ad avere un effetto terapeutico contro il mal di montagna, era un elemento fondamentale dei rituali religiosi, in quanto i popoli precolombiani attribuivano a questa pianta poteri magici, di guarigione e persino divinatori.

Sacrifici umani e ritualità nelle antiche Americhe – II

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