Sostenendo che il procedimento penale a carico degli aggressori era stato trascinato con lentezza inescusabile e che si era risolto in maniera offensiva per la Spagna, ossia con condanne irrisorie, Madrid inviò in Perù un proprio rappresentante con il titolo non di ambasciatore, ma di commissario speciale. Naturalmente il governo di Lima, che in Spagna non godeva neppure del riconoscimento ufficiale della propria indipendenza e che non aveva con essa, perciò, delle normali relazioni diplomatiche, rifiutò di riconoscerlo sotto quella veste assai sospetta, che pareva sottintendere la volontà spagnola di esercitare una qualche forma di sovranità mai venuta meno, giuridicamente, nei confronti del Perù.
Da quel momento ebbe luogo la rottura. Il «commissario» spagnolo affidò all’incaricato d’affari francese la cura degli interessi dei propri concittadini e, il 12 aprile 1864, salì a bordo della goletta Covadonga, che faceva parte della squadra navale dell’ammiraglio Pinzòn, e andò a riunirsi a quest’ultimo nella base delle Isole Chinchas. Pinzòn fece allora un passo estremamente grave, tanto più – come sembra . sotto la sua personale responsabilità: dichiarò di prendere possesso delle isole a nome della Spagna fino a quando il governo peruviano non avesse dato a quest’ultima completa soddisfazione nell’affaire del processo. Questa iniziativa lasciava trasparire incautamente delle rivendicazioni di tipo territoriale e spostava la contesa dal piano puramente giuridico a quello della sovranità politica. Ciò creava le premesse per un conflitto e apriva uno scenario di forti tensioni internazionali, poiché alla vibrata protesta del governo peruviano si unirono quelle della Gran Bretagna e degli Stati Uniti: le due potenze che, dopo la fine del dominio coloniale spagnolo in America Latina e la caduta del protezionismo da esso imposto, si erano inserite coi loro capitali – prima l’una, poi l’altra – dominandone il mercato finanziario, l’industria e il commercio. Sia Londra che Washington, pertanto, guardavano con particolare irritazione alle ambigue manovre della Spagna; e i loro sospetti e le loro preoccupazioni furono rafforzati dalla maniera con cui l’ammiraglio Pinzòn cercò di giustificare il proprio operato. Egli, infatti, sostenne che la rivendicazione spagnola delle isole era la naturale conseguenza del fatto che, non avendo il governo di Madrid mai riconosciuto l’indipendenza della sua ex colonia, non si trattava in effetti di una occupazione ma della restaurazione di una sovranità mai estinta de jure. Trasferendo, così, la disputa sul piano politico-territoriale, egli apriva la strada per una rivendicazione di principio non solo sulle Isole Chinchas o su parti limitate, ancorché d’importanza strategica, del territorio peruviano, ma sull’intero territorio della Repubblica sud-americana.
Ecco perché il governo di Lima non poteva né avrebbe potuto in alcun modo accettare una tale pretesa come base giuridica per dirimere il contenzioso con la Spagna. Se avesse accettato il principio che le Isole Chinchas o altre parti del suo territorio erano teoricamente sottoposte alla sovranità iberica, ciò avrebbe spalancato le porte a più vaste e pericolose rivendicazioni da parte dell’ex madrepatria; senza contare il danno economico, già notevolissimo, causato dalla sospensione dell’estrazione del guano, prezioso fertilizzante di cui c’era, in Europa, una domanda sempre più forte. Fu per tale motivo che il governo peruviano respinse decisamente una proposta di accordo avanzata da quello spagnolo, il 25 giugno 1864: lo sgombero delle Isole Chinchas era, per esso, la premessa necessaria alla ripresa di qualunque trattativa con la Spagna. Chiaramente esso non poteva agire in altro modo: l’esercizio esclusivo della sovranità essendo la prima espressione dello Stato, non poteva transigere su questo punto. Si tenga presente che da una richiesta meno invasiva del governo austro-unherese a quello serbo, nel luglio 1914, avrà origine la prima guerra mondiale: quella, respinta da Belgrado, che funzionari austriaci partecipassero all’inchiesta sulle responsabilità dell’eccidio di Sarajevo accanto a quelli serbi.
L’incauto e arrogante modo di procedere della Spagna aveva, frattanto, messo in allarme tutte le repubbliche della costa occidentale sudamericana: tutte, infatti, si sentivano in pericolo, perché il principio della sovranità spagnola non estinta dalla loro indipendenza de facto (oggi si direbbe: unilaterale), se accettato, avrebbe messo l’ammiraglio Pinzòn in grado di avanzare analoghe pretese verso qualsiasi ex colonia spagnola. Venne perciò convocato appositamente un Congresso delle repubbliche sud-americane, che si riunì a Lima e al termine del quale, il giorno 31 ottobre, fu richiesta alla Spagna l’immediata restituzione delle Isole Chinchas al Perù. Non solo il governo di Madrid oppose un energico rifiuto, ma altre navi furono inviate dalla Spagna per rafforzare la squadra navale del Pacifico. L’iniziativa appariva apertamente minacciosa, anche se accompagnata da una mossa a sorpresa: Pinzòn venne sostituito dall’ammiraglio José Manuel Pareja, investito del titolo altisonante, e non troppo rassicurante, di «inviato straordinario» e ministro plenipotenziario in Perù.